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Chi ci perde davvero se WhatsApp smette di funzionare

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È il 4 Ottobre 2021. Abiti a Trieste e vuoi seguire l’andamento delle elezioni. Il Comune ha scelto come mezzo di comunicazione principale WhatsApp per la trasmissione dei risultati, ma nulla sembra funzionare. Passano 5 minuti, poi 20, poi qualche ora e, alla fine, ti trovi di fronte a uno dei black out più lunghi della storia recente dell’applicazione.

Durante quella giornata WhatsApp è rimasta inutilizzabile dalle 17:30 fino a tarda sera. L’ultimo disservizio risaliva allo scorso 19 marzo mentre quello ancora prima al 3 luglio 2019. Anche se su Twitter e Telegram il malcontento ha preso il sopravvento, c’è un punto che non è stato discusso abbastanza. A parte Facebook (oggi Meta), azienda proprietaria dell’app che in una giornata ha perso 6 miliardi di dollari in borsa, chi ci perde davvero se WhatsApp va in down?

 

Down WhatsApp

 

Perché proprio WhatsApp

WhatsApp è l’applicazione più scaricata in Italia e viene utilizzata in media da una singola persona 11 ore e 44 minuti al mese. I numeri restano alti anche all’interno dei contesti aziendali: secondo Federprivacy il 75% delle persone utilizza WhatsApp sul lavoro per condividere dati, file e informazioni, anche sensibili.

Il perché l’applicazione sia così diffusa lo spiega in poche parole un utente anonimo su Quora:

 

“WhatsApp e la sua miriade di funzioni aggiuntive, paragonate ai semplici messaggi, la rendono molto più appetibile e immediata, senza contare che costa praticamente zero.”

 

In azienda viene visto come lo strumento informale con cui raggiungere agilmente i colleghi in qualsiasi momento. Una traduzione dell’anywhere anytime accentuata dalla recente diffusione dello smart working. Il mio responsabile non risponde all’email? Uso WhatsApp. Il negozio deve inviare la foto del nuovo allestimento all’Area Manager? Usa WhatsApp.

La distanza diventa un click e l’app di messaggistica soddisfa i requisiti di immediatezza che cercano oggi le persone. Ecco, il segreto del successo di WhatsApp è tutto qui.

Pochi però si rendono conto dei “contro” della celebre applicazione:

  • durante un eventuale down le persone sono impossibilitate a svolgere il lavoro nel pieno delle funzionalità;
  • tutte le informazioni aziendali contenute nelle conversazioni sono in mano a Facebook, proprietario dell’app;
  • l’IT aziendale non è al governo delle informazioni. Inoltre, se il dispositivo mobile su cui è installata WhatsApp viene perso o rubato, riuscire a proteggere o recuperare le informazioni non è scontato;
  • la chat è bella, come sostiene l’utente anonimo su Quora, ma può facilmente diventare anarchica e creare confusione.

In questo articolo andiamo a vederli insieme e parliamo di una soluzione.

 

Un conto salato

I down di WhatsApp continuano a generare “panico” nelle persone ma anche le imprese rischiano di uscirne penalizzate.

 

I rischi di WahtsApp

 

Abbiamo già parlato delle problematiche relative all’utilizzo di WhatsApp in azienda. Sicuramente sicurezza e privacy sono al primo posto. Un’altra grande questione è quella dell’affidabilità della piattaforma, soprattutto se utilizzata all’interno di processi strategici, come la comunicazione interna.

WhatsApp è un servizio di messaggistica privato, quindi soggetto agli aggiornamenti e alle decisioni di una multinazionale con cui le aziende non dialogano direttamente. Se WhatsApp sparisse, per poco o per sempre, tutto ciò che popola le chat andrebbe perso, tra cui file importanti ma soprattutto il know-how delle persone che tipicamente circola sull’app. Recuperare tutte queste informazioni per l’azienda ad oggi è impossibile se non con altri strumenti.

Inoltre, il down del 4 ottobre per alcune realtà ha significato interrompere le proprie attività. Per esempio, se per gestire i processi interni venivano utilizzati uno o più gruppi WhatsApp, le persone coinvolte non hanno potuto confrontarsi e lavorare insieme per ore intere. Il tempo speso a cercare strumenti alternativi di emergenza, allinearsi tutti o semplicemente aspettare la fine del down costituiscono spese che gravano sul profitto dell’azienda e sulla soddisfazione delle persone, ancora una volta dipendenti dai “capricci” della tecnologia. Un po’ come è successo a Trieste durante le elezioni comunali.

 

Sempre più connessi, sempre più divisi in azienda

Un’altra questione importante è questa: WhatsApp può sembrare perfetta per scambiare informazioni più velocemente con gli altri. Com’è che allora, nonostante questa iperconnessione, i processi non migliorano e le aziende faticano a capitalizzare la conoscenza delle persone?

È chiaro che comunicare in modo veloce non basta. Ciò che serve è un unico spazio virtuale che consenta di divulgare il sapere del singolo agli altri. Una conversazione su WhatsApp, a cui accedono solo i diretti interessati, non fa altro che creare ulteriori silos e divisioni. Un digital workplace, al contrario, è in grado di rispondere alle attuali esigenze di comunicazione e collaborazione proprie delle aziende in crescita, permettendo di mantenere alto l’engagement di chi lavora.

Questo bisogno diventa ancora più impellente per le aziende che adoperano lo smart working. Rafforzare la comunità aziendale e alimentare la motivazione è possibile solo attraverso strumenti elaborati e non improvvisati.

 

La ricerca di strumenti naturali

Com’è possibile dunque unire la semplicità di WhatsApp alla sicurezza degli strumenti aziendali? Molte realtà fanno ancora fatica a trovare una risposta a questa domanda.

Oggi le persone sono abituate a confrontarsi rapidamente, si aspettano riscontri immediati tramite le spunte blu, consumano micro contenuti e osservano quello che stanno facendo gli altri sui feed dei social. Poi arrivano al lavoro e si trovano davanti a uno scenario completamente diverso: gestionali complessi, flussi di email infiniti, moduli cartacei da ritrovare negli archivi e tutta una serie di strumenti, sicuramente utili, ma che lasciano scoperta la parte relativa alla comunicazione e collaborazione veloci.

 

Una delle prime condizioni di felicità è che il legame tra l’essere umano e la natura non si rompa
Lev Tolstoj

 

 

 

Quando viene naturale fare qualcosa è perché risulta più semplice, veloce e intuitiva di tutte le alternative a disposizione. E se l’azienda riuscisse a unire questa ricerca del “minor sforzo possibile” a uno strumento che faccia bene al business?

Andiamo con ordine. Uno strumento è:

  • naturale quando risulta familiare per le persone che lo scoprono per la prima volta
  • aziendale quando permette alle organizzazioni di trarre un vantaggio concreto dal suo utilizzo e assicura precisi standard di qualità e sicurezza.

Una soluzione aziendale, se naturale, mette le persone al centro ed è in grado di semplificarne il lavoro, eliminando qualsiasi carico cognitivo inutile e aumentando la loro produttività. Inoltre, è importante che sia flessibile per natura in modo da potersi adattare all’evoluzione dell’organizzazione nel tempo.

 

L’evoluzione naturale del business

Interacta è il primo strumento aziendale per l’evoluzione naturale del business e richiama tutti i principi elencati finora. Chi l’ha provata parla di engagement spontaneo. Le interazioni naturali tra le persone, attraverso Interacta, diventano infatti il vero nutrimento delle organizzazioni.

Immagina se tutto ciò che ora avviene tramite email, telefonate, chat o strumenti esterni all’azienda venisse raccolto all’interno di un ufficio virtuale pensato per gestire i processi e le attività core del business.

Interacta è l’alternativa più semplice a tutti i tool che gestiscono l’operatività:

  • i post e le community supportano le comunicazioni immediate
  • le mention sono alla base della collaborazione vera, quella sul campo, dove se ho bisogno di qualcuno è perché mi serve in fretta
  • gli hashtag strutturano il tutto e ti aiutano a trovare i documenti e le informazioni che cerchi in meno di 2 secondi
  • il potente workflow designer consente di personalizzare, gestire e monitorare i processi
  • La parte di analisi e dashboard rende possibile raccogliere ed elaborare i dati utili, anche qualitativi, in tempo reale.

Il tutto con un’interfaccia che richiama quella degli strumenti che le persone sono già abituate a utilizzare fuori dal lavoro.

Abbandonare la divisione tra strumenti di lavoro e le app per la vita privata è la mossa strategica per il futuro. Lavorare non dev’essere difficile, collaborare con i colleghi non dev’essere complesso. Trovare quello che vuoi quando vuoi può essere semplice, con la tecnologia giusta.

 

Il futuro del lavoro

Il mondo del lavoro sta cambiando. Si parla sempre più di concetti come la settimana lavorativa corta, l’uso dell’Intelligenza Artificiale a fianco delle persone e la valutazione dei progressi attraverso, non più i KPI, ma i KBI (Key Behavioural Indicators).

Le stesse aziende si rendono conto che gli investimenti per migliorare il modo in cui lavorano le persone sono quelli che rendono di più. Nessuna riorganizzazione ha senso però se non viene supportata da un cambio di passo nel modo in cui viene gestita l’operatività.

Considerare normale l’uso (spesso non autorizzato) di WhatsApp in azienda o peggio, vietare qualsiasi tool per la collaborazione veloce, significa fermarsi e smettere di evolvere. È proprio in questo contesto che è necessaria una riflessione in più.

L’uso di strumenti aziendali naturali è infatti la chiave per mantenere motivate e produttive le persone e apre la strada alla costruzione dell’intelligenza collettiva, vero vantaggio competitivo per qualsiasi realtà.

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